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Il colore unico

A cura di Vittoria Coen
2017

*copertina_Arena* -

Vittoria Coen: Il colore unico

“SI PUO’ DIPINGERE TUTTO SE HAI GLI OCCHI”, questa semplice frase di Giorgio Morandi basta a svelare il profondo e misterioso significato della pittura.
In Rolando Tessadri la scelta poetica comporta necessariamente ripercorrere la cifra minimal-concettuale che ha caratterizzato il percorso di molti artisti in generazioni diverse. Si è parlato di approccio olistico per quanto riguarda certamente una pittura radicale che interessa tutta la tematica che ruota intorno al concetto di “monocromo”.
Monocromo non è solo un colore, ma bensì un concetto, una visione estetica dell’arte, una diversa modalità di rappresentazione. Il monocromo, così come l’astratto, sono concettualmente temi storicamente legati al concetto di azzeramento dell’idea classica di pittura e di racconto, dunque, di tempo. Il tempo della nostra percezione è, tuttavia, molto personale, se è vero che ci si può commuovere davanti ad un’opera di Lucio Fontana.
Il concetto di pittura senza immagine/figura è appartenuto nel tempo ad artisti come Malevic che sono passati da una narratività più classica ad un radicale cambiamento di rotta, anche se noi sappiamo bene che ben prima di lui un protagonista della storia dell’arte come Turner aveva coraggiosamente trasformato una scena a carattere narrativo come una tempesta sul mare con un magma apparentemente indistinto di sentimenti contrastanti, scatenando il giudizio dei tradizionalisti del tempo.
Definito il primo informale, molto tempo dopo dalla critica, Turner ha rappresentato il superamento stesso del concetto di “rappresentazione”. La diatriba ormai risolta tra astrazione e figurazione ci consente, oggi, di parlare di monocromi anche per determinati lavori di Morandi, le cui forme distinguibili si fondono nelle sfumature indistinte del fondo, portandosi dietro una estetica profondissima che congiunge analisi con sintesi.
Anche se non sempre condivisibile il saggio di Barnett Newman sul concetto di Sublime si rivolge criticamente verso un certo astrattismo quasi di maniera, divenuto puro ornamento. Ciò è dovuto, secondo lui, ad una cattiva interpretazione dell’arte primitiva; laddove, invece, l’immaginazione dell’artista prova a penetrare le pieghe segrete della metafisica la sua arte entra in relazione col concetto di sublime. Contro un certo uso dell’astrazione fatto da Mondrian, l’artista si schiera a favore dell’uso “puro” dell’arte che si fa strumento per conoscere il mondo. La forma plasmica anziché plastica. In questo tipo di arte si cela una nuova idea di bellezza, l’arte assume una valenza ontologica.
All’interno dello stesso concetto di astrazione vi è quello della monocromia, anche se non sempre. Più complesso ma non per questo meno interessante pensare che anche la serie Orange Car Crash del 1963 di Andy Warhol è entrata a suo tempo a pieno titolo in una importante mostra sul monocromo. E questo conferma quanto penso, anche alla luce dello studio di un’opera come Double Viridian del 1985 di Alan Green, o di Bleu, azur par Tollens et Ducolac del 1988 di Bertrand Lavier, come Dal bianco al nero di Piero Dorazio del 1960.
Entrare nello studio di Rolando Tessadri e parlare con lui del suo lavoro è un’esperienza insolita. Sorridente e con grande modestia ti mostra il suo mondo poetico e ti racconta la sua metodologia con precisione, quella stessa che salta all’occhio immediatamente vedendo le opere. Opere nelle quali si entra a poco a poco, osservandole da diverse angolazioni, poiché il fattore luce/composizione e le inaspettate vibrazioni che raramente si evidenziano al meglio nelle pubblicazioni cartacee, ci parlano di un importante valore dato dall’artista al fattore percettivo.
Il suo lavoro, professionalmente parlando, inizia negli Anni Novanta con sviluppi evolutivi che determinano il punto di arrivo di oggi, anche se, per Tessadri, parliamo sempre di opera aperta.
Linea, luce, colore e un’ampia possibilità di minime varianti sfumate nei toni del colore, appunto, non sono mai casuali, bensì parte integrante della cifra stilistica di Tessadri.
Le sue Tessiture sono il frutto di una meticolosa operazione. Fili da cucito vengono apposti parallelamente sulla tela, in direzione verticale e orizzontale; la tela così preparata viene poi ricoperta dal pigmento e, dunque, dal colore scelto, il cui eccesso è successivamente asportato. Da questo che l’artista definisce frottage emerge, dunque, un lavoro intenso, vibrante, fatto di percettibili sfumature e di interessanti contrappunti di luci e ombre creato da questa “griglia” la cui distanza tra i singoli fili è parte integrante del procedimento creativo.
Il lavoro vive fin dal primo momento di messa in - opera, come in un processo alchemico di cui si conoscono i principi, ma che può sorprenderci negli esiti finali. In Tessadri la partitura visiva è fatta di sfumati, di scelte di colore intense ma mai urlate, che dimostrano il suo rifuggire da facili consensi.
Ciò non è semplice nell’attuale mondo dell’arte (così definito dalla maggioranza degli addetti ai lavori) in cui la spinta a stupire, a volte con trovate che riecheggiano uno spettacolo circense, possono scoraggiare chi, come Rolando Tessadri, lavora silenziosamente con costanza e passione. Tuttavia la sua onestà intellettuale ha sempre il sopravvento.
Le sue partiture cromatiche crescono e decrescono, dai bianchi ai grigi, dai toni modulati dei marroni, fino agli azzurri, ad esempio, e ad una sequenza di rossi che parlano di una sinfonia estetica di “andante”, “crescente con brio” e così via.
Dittico, opera unica, polittico……….le tessiture di Tessadri sono numerate, un’ars combinatoria in una progressione che ne scandisce il tempo di realizzazione, una sequenza nell’opera unica che è il concerto del fluire della ricerca. E’ l’artista stesso che parla di “sdoppiamento”, di inconscio, mentre rivendica contemporaneamente il suo approccio “razionalista”. Nella scansione, infatti, in cui il gioco di chiaro-scuro viene progettato, sembrerebbe esserci un controllo assoluto dall’inizio alla fine, in certi rosa e viola della produzione 2013/2014, ad esempio, ma noi sappiamo che il controllo tecnico non significa che proprio l’esito finale neghi il più profondo io.
La critica parla anche di “scacchiere”, che mi sembra un termine indovinato, quando i lavori si modulano in varianti cromatiche più o meno evidenziate. Il risultato è comunque e sempre vibrante, mai monolitico, e anche questa mostra lo evidenzia, dal momento che vengono ripercorsi gli ultimi dieci anni della sua produzione..
In fin dei conti, dunque, l’astrazione non è l’assenza di qualcosa, ma un modo diverso di esprimere l’estetica del visivo e la percezione di esso. Il dibattito appare perciò sterile, come ho già scritto, quando ciò che a noi sembra di vedere non è più ciò che appare ma come ci appare. E Rolando Tessadri fa della propria astrazione una “cosa” concreta, vera, per la propria unica e totale percezione del mondo.
Il colore unico è, dunque, l’espressione di un pensiero condiviso da molti artisti di generazioni diverse. Non è un movimento che ha una nascita e una fine, è un modo di pensare, è un flusso di percezione del mondo e di interpretazione dell’essere artista. Esso capta la nostra attenzione nel modo più profondo, poiché non ci illude di raccontare una storia, bensì ci attrae per la sua estrema sintesi che non blandisce il nostro gusto, ma il nostro animo. Esso non offre alcuna attenuante, poiché non è in alcun modo descrittivo.
Eppure la trama del colore in Tessadri traccia la partitura immaginaria del suo sentire più sensibile, e, nello stesso tempo, più completo.
Esso si stempera nelle minime sfumature, così come fa una melodia minimalista che anche in musica è possibile. La sua opera ha un alto e un basso, eppure la possiamo guardare da qualsiasi angolazione, cosa che ci permette di entrare meglio nella sua più intima identità.
Il lavoro non si adatta all’ambiente, ma entra in dialogo con lo spazio e lo fa nella maniera più totale, poiché è esso stesso spazio visivo, universo contenutistico di valori, quelli per i quali l’opera d’arte non ha bisogno di giustificazioni, di perché, di spiegare cosa, di motivare, insomma, la propria esistenza.
Infatti Rolando non spiega, parla di sensazioni, di luci, di un modo sottile di percepire le emozioni.
Arheim ne Il pensiero visivo argomenta sulla “tensione dell’immaginazione” riferendosi alla quarta dimensione e alla nozione dello “spazio curvo”, infine, alla nostra incapacità di rappresentare e comprendere la possibilità di pensare uno spazio chiuso e nello stesso tempo aperto. Ciò è possibile solo attraverso calcoli matematici, quindi, in un certo senso, astrattamente. Le ipotesi quindi sono numerose, così come nell’arte in cui la componente “astratta” formula essa stessa la possibilità di trovare un nuovo e diverso orizzonte di comprensione. Ciò che è possibile calcolare, dunque, può non essere preso in considerazione in una disciplina diversa dalla matematica, così come l’arte che può essere al di là, o meglio, parallelamente ad altre forme di vita.
E questo è il senso definitivo di una cosa che non può essere spiegata fino in fondo con il nostro linguaggio “circoscritto” e codificato in modo chiuso.
Possiamo solo pensare di poterci avvicinare con discrezione a qualcosa che comunque rimane un piccolo o grande enigma, mai definitivamente chiarito, poiché sempre e comunque, aperto. Ipotesi e non tesi.

Il colore unico

Arena Studio d'Arte, Verona, 2017
a cura di Vittoria Coen

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