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L'angolo bello

A cura di Gabriele Salvaterra
2016

*angolo bello copertina* - copertina del catalogo della mostra L'angolo bello

Gabriele Salvaterra: L'angolo bello

L’angolo bello è quello spazio domestico situato tra l’incontro delle due pareti e il soffitto che nella tradizione russa è riservato all’icona religiosa. Nel dicembre 1915, nella storica esposizione 0.10 Ultima mostra futurista, Kazimir Malevič presenta numerose opere pittoriche astratte realizzate attraverso la rigorosa modulazione di semplici forme geometriche. La sua opera-manifesto, il celebre Quadrato nero, viene posta proprio nell’angolo bello, come a segnalare una soglia che, voltando le spalle alla banalità del mondo, guarda a una dimensione altra, spirituale e contemplativa.
Se Malevič per esporre le sue opere decide di fare riferimento alle caratteristiche metafisiche di questo spazio simbolico di tradizione popolare, il suo antagonista sulla scena artistica russa, lo scultore costruttivista Vladimir Tatlin, nella medesima occasione sfrutta lo stesso spazio angolare, investendolo però di significati e valenze antitetici (Krauss 2000, pp. 65-66; Foster 2006, pp. 126-127). I suoi Controrilievi o Rilievi d'angolo sono installazioni realizzate in fili di ferro, lamine di metallo e altri materiali che si sviluppano sempre tra
due pareti ma che non richiamano alcuno spazio trascendentale. In queste strutture scultoree non c'è alcun rimando ulteriore e i materiali presentano semplicemente se stessi, prendendo posto nello spazio reale come un qualsiasi altro oggetto.
Queste due opere emblematiche, al di là della curiosa consonanza nella scelta dell'angolo come ambiente allestitivo, richiamano approcci teorici e visioni antitetiche rispetto alle concezioni che sottendono la creazione artistica. Da una parte si trova lo spazio dell'icona, quello rivolto verso l'alto, in un rapporto di discontinuità con un universo trascendente; dall'altra lo spazio secolare e terreno della struttura architettonico-ingegneristica, perfettamente omogeneo con noi stessi e in continuità con l'ambiente della vita di tutti i giorni. Da un lato il discorso metafisico dall'altro quello legato alla fisica del mondo reale.
In generale la pittura del Novecento – così come nello specifico quella di Gianni Pellegrini e Rolando Tessadri – è stata spesso caratterizzata dal muoversi ambiguo tra queste due polarità, quella della realtà più concreta e quella della metafisica più visionaria. Senza scomodare necessariamente riflessioni religiose o spirituali, uno dei problemi di certa pittura novecentesca è stato quello di trovare un punto di equilibrio tra le esigenze della materialità e quelle del simbolico, ambito nel quale si manifesta quel “senso che eccede” (Franzini 2008, p. 66) la mera concretezza del reale. Come nelle strutture di Tatlin, la pittura ha così mirato a presentare semplicemente se stessa, nella purezza di una realtà libera da qualsiasi forma di rappresentazione o rimando ulteriore, ma dall'altra, non potendo neppure accontentarsi di dire: “È tutto qui”, ha cercato quel qualcosa che sfuggisse alla pura materialità, per non esaurire il proprio discorso soltanto nel visibile. Un paradosso, questo, descritto da Rosalind Krauss quando, parlando dell'800, ma tenendo a mente gli esempi di Piet Mondrian, Ad Reinhardt, Mark Rothko, Barnett Newman o di Malevič stesso, afferma che “nello spazio sempre più desacralizzato del XIX secolo l'arte era diventata rifugio dell'emozione religiosa: diventò, ed è rimasta una fonte profana di fede” (Krauss 2007, p. 16).
In questo senso l'apparente reazione dell'angolo bello e del rimando all'icona di Malevič si sono dimostrati molto più efficaci della strada tecnicista proposta da Tatlin nel riuscire a coniugare la radicalità dell'astrazione rigorosa con l'aspetto sfuggente e ricco della contemplazione. Il fermo antinaturalismo, il carattere di immagine presente e non semplicemente rappresentativa, il rifiuto degli inganni e degli stratagemmi di verosimiglianza della tradizione occidentale, l'impostazione reale e concreta dell'immagine hanno fatto dell'apparente arcaismo dell'icona tradizionale un emblema di modernità (Florenskij 1977). Tutto ciò stimolando quel particolare tipo di sguardo, proprio del Quadrato nero di Malevič, che partendo da un dato reale è in grado di rimandare a una realtà estranea e sfuggente di cui l'immagine, nella sua semplicità, si fa epifania.
Gianni Pellegrini e Rolando Tessadri con la loro pittura interpretano questa ambizione. Il paradosso nel quale i loro lavori vivono è quello di riuscire ad alludere a qualcosa che sfugge la pura visibilità, conducendo l'occhio nei domini dell'ambiguo e dell'incerto a partire da una condizione di estrema oggettività e chiarezza linguistica.
Da questo punto di vista è rappresentativo il percorso di Gianni Pellegrini che, da una misura analitica della pittura, condivisa verso la fine degli anni Settanta con il gruppo di Astrazione oggettiva, è arrivato in questi ultimi lavori a vere e proprie trappole percettive in grado di fare sprofondare l'occhio in un campo nebuloso e vibrante. Impostando la propria ricerca sulla sottrazione compositiva, da tempo Pellegrini conduce la sua pittura attraverso l'azione del “mettere sotto”, in una pratica che, reinterpretando la tradizionale pratica della
velatura, copre le forme e i segni con delicate stratificazioni di colore neutro in un muoversi ambiguo tra i concetti di protezione e offuscamento. I colori delle sue composizioni, schermati e abbassati da successive stesure, diventano diafane presenze di cui rimane solo la memoria di una forza di partenza che deve essere necessariamente ricomposta tanto dall'occhio quanto dalla mente dell'osservatore. I bianchi, gli acquamarina,i rossi, gli azzurri, i gialli emergono così in geometrie equilibrate che, investite dal processo di erosione dei confini dell'immagine, si smaterializzano in una vibrante pittura d'atmosfera. I suoi dipinti alludono ad albe abbacinanti o apparizioni nella nebbia in cui il trascolorare impercettibile di lievissime variazioni di tono richiede tempo e attenzione per essere integralmente apprezzato. In questo processo di smaterializzazione incessante, in questa luce che fagocita ogni struttura fisica per trasformarla in qualcos'altro, c'è un guardare da distante ai paesaggi di Lorrain, alla luce di Turner o, inaspettatamente, all'ambiguità degli ambienti di James Turrell o Robert Irwin, tradotti sul piano bidimensionale della pittura.
Se luce, trasparenza e profondità suggerita rappresentano le chiavi del linguaggio di Pellegrini, nel lavoro di Rolando Tessadri l'opacità del supporto, la presenza fisica della struttura pittorica e la stessa superficie della tela costituiscono l'intero campo d'azione dell'autore. La griglia che anima le sue composizioni e che costituisce la cifra stilistica di tutti i lavori, emerge da sotto il supporto attraverso un originale procedimento di frottage che raddoppia, ingrandendolo, lo stesso intreccio di fibre di cui è composta la tela. Sulla
superficie di queste Tessiture griglia reale del supporto e griglia dipinta si incontrano nello stesso spazio fisico avviando un discorso tautologico che, oltre a stimolare una catena di cortocircuiti mentali, determina una continua vibrazione sulla retina dell'osservatore. Con un approccio architettonico e modulare alla composizione i lavori si organizzano per unità giustapposte, dove i colori emanano il loro potenziale in un gioco relazionale di rimandi che dimostra come l'effetto della realtà – tanto nella percezione di un colore quanto in una situazione quotidiana – si dia sempre attraverso una rete di rapporti, mai in maniera pura e
monolitica. Un elogio dell'essere in relazione che negli ultimi anni ha dato vita a originali sperimentazioni sul tema del paesaggio attraverso il minimale inserimento di una linea di orizzonte in grado con la sua laconicità di diventare un segno essenziale dell'incontro tra cielo e terra. In questo muoversi tra il distacco minimale della geometria e il coinvolgimento empatico della sfumatura tonale il lavoro di Tessadri può essere sintetizzato nell'aspetto sinestesico della sua griglia: visiva nell'organizzare ortogonalmente lo spazio della tela ma tattile nel rimando al calore accogliente di una trama tessile.
Su tutto questo rimane, come in sottotraccia, il mistero di quell'artista che più di un secolo fa decise di appendere il suo quadro in un angolo. I pittori, così contemporanei e inattuali a un tempo, continueranno forse a guardare a quello spazio simbolico che è stato in grado di dare l'insegnamento fondamentale o, forse, soltanto l'illusione che fosse possibile superare le soglie della visibilità attraverso un semplice quadrato nero.

Riferimenti bibliografici
Florenskij Pavel (1977), Le porte regali. Saggio sull'icona, Milano, Adelphi.
Foster Hal et al. (2006), Arte dal 1900. Modernismo. Antimodernismo. Postmodernismo, Milano, Zanichelli.
Franzini Elio (2008), I simboli e l'invisibile. Figure e forme del pensiero simbolico, Milano, Il Saggiatore.
Krauss Rosalind (2000), Passaggi. Storia della scultura da Rodin alla Land Art, Milano, Mondadori.
Krauss Rosalind E. (2007), L'originalità dell'avanguardia e altri miti modernisti, Roma, Fazi

L'angolo bello: Gianni Pellegrini, Rolando Tessadri

villa Salvadori-Zanatta, Meano (TN), 2016
a cura di Gabriele Salvaterra

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