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Igino Legnaghi Rolando Tessadri

A cura di Walter Guadagnini
2010

*Legnaghi Tessadri* - Copertina azzurra, il ravvicinato di una tela. Sotto a destra, i nomi Tessadri in verticale seguito da Legnaghi in orizzontale.

Walter Guadagnini: Di tramandi e altre cose

È prima di tutto una questione di continuità, di tramandi da una generazione all'altra, sia sul piano individuale che su quello collettivo. Igino Legnaghi è del 1936, Rolando Tessadri del 1968, più di trent'anni, una generazione almeno, un'idea comune che attraversa il tempo, quella di poter dire con gli strumenti essenziali del linguaggio un mondo che non è solo di forme, ma è soprattutto di idee, di pensieri sulle ragioni della forma e sulle sue necessità.

Altra cosa dal rapporto tra maestro e allievo è quella che si mette in scena nella mostra odierna, è confronto e dialogo ravvicinato tra approcci differenti all'interno di un medesimo orizzonte culturale e, al tempo stesso, accentuazione di quegli elementi di continuità che permettono di parlare non di una tendenza o di una corrente, ma di un atteggiamento comune nei confronti del processo creativo, che di comuni radici si nutre.

È insomma una vicenda di nourritures, per dirla con André Gide, o di tramandi, per dirla con Francesco Arcangeli, vicenda che sarebbe peraltro riduttivo rinchiudere nel rapporto diretto tra Legnaghi e Tessadri, poiché entrambi guardano più lontano, pensano e agiscono sui tempi lunghi della storia piuttosto che su quelli brevi della cronaca.

Uno dei paradossi della ricerca non figurativa del XX secolo è, in effetti, l'essere stata percepita, alle sue origini, come una sorta di tabula rasa rispetto alla tradizione precedente, e di essersi invece rivelata come una delle modalità espressive maggiormente legate alla storia, sia a quella dell'arte nel suo sviluppo millenario, sia a quella interna al proprio svolgersi nel Novecento e nei primi anni del Duemila. Se si sia trattato di un errore di prospettiva dei contemporanei, o di un'evoluzione imprevista delle premesse, non è facile a dirsi, ed è probabile che entrambe le ipotesi abbiano un fondo di verità: rimane il fatto che la storia della cosiddetta arte figurativa, nelle sue diversissime declinazioni, si è caratterizzata proprio per gli elementi che inducono a riflettere in termini di continuità più che di fratture.

Luogo cruciale di questa condizione è senza dubbio la concezione del tempo che sovrintende anche alla ricerca di due autori come Legnaghi e Tessadri: un tempo sciolto dalla contingenza fenomenica, che si pone non tanto fuori dalla storia quanto da una lettura della storia in chiave evolutiva. Il tempo delle sculture di Legnaghi e dei dipinti di Tessadri è un tempo assoluto, sospeso in una dimensione altra, ed è per questo motivo che può permettersi di dialogare con figure e istanze provenienti da momenti storici diversi, senza doverli aggiornare alle ragioni dell'attualità o del gusto.

Il tempo di queste immagini – quello della loro apparizione, non quello del loro farsi, che è estremamente concreto e legato allo scorrere della propria esperienza individuale – si misura non a caso primariamente sulla figura della variazione, della ripetizione differente, del modulo e del canone. Dice, anche in questo modo, di una persistenza, questa volta tutta interna al fare, degli elementi di base, fondanti, sui queli si elabora una poetica per la quale memoria e attualità non sono termini contrapposti e inconciliabili, ma convivono necessariamente, poiché la seconda si dà come
naturale conseguenza della prima.

Che in tutto ciò valga poi, sempre come memoria, la particolare declinazione dell'astrattismo storico italiano, “l'angelico, geometrico” del Melotti che sentiva risuonare l'ultimo scalpello greco e vedeva il quarto di luna del Rinascimento, è elemento da non sottovalutare (Le variazioni, come del resto il canone o il fugato, generano dall'interno un 'continuo' al di là del mondo, ma pur non conoscendo nascita o morte, si svolgono in un numero esatto e unico. Il rimescolamento di un mazzo di carte o la rotazione del caleidoscopio possono esibire invece infinite situazioni. Gioco edonistico che mai raggiunge la poesia).

Questione di sapienze, anche. Profondamente diverse, in questo caso. Legnaghi non tocca più da
anni le sue sculture, le pensa, le disegna, le progetta; altri sono deputati alla loro realizzazione materiale, altri che si avvalgono degli strumenti tecnologici più all'avanguardia. Materie e strumenti atti a lavorarle sono quanto di più contemporaneo si possa immaginare; come notava di recente Klaus Wolbert, lo “studio” di Legnaghi sono i capannoni di una grande fabbrica, dove quelle materie e quegli strumenti svolgono tutt'altre funzioni, legate all'industria, alla produzione di oggetti il cui valore estetico è comunque subordinato a quello d'uso.

Eppure, è sufficiente ascoltare l'artista parlare di macchine e materiali, vernici e laser, vederlo toccare le superfici uscite dal bagno che ha dato loro il colore voluto, per comprendere come si tratti di un rapporto con la materia tutt'altro che distaccato, di una coscienza che ancora conserva la memoria di antiche sapienze, che nascono dal rispetto per gli strumenti e per quel bagaglio di conoscenze fabbrili che danno il senso al fare, perché sapere è sapersi, anche.

Tessadri invece agisce in prima persona, il procedimento è interamente nelle sue mani dal primo gesto alla conclusione dell'opera. I procedimenti sono messi a punto in ogni minimo passaggio, dall'applicazione delle trame di filo da cucito sulla tela all'uso di un impasto di acrilico e colla steso sulla superficie con una grande spatola morbida (racla). Al passaggio della quale, come in un esercizio di frottage, viene posto in evidenza il reticolo sottostante che si modifica a seconda della distanza di singoli fili, scriveva Cerritelli alcuni anni fa, sottolineando così la centralità del processo all'interno di questa poetica.

In ogni caso, la base di partenza è comune, ed è rappresentata dalla sfida che i due autori pongono agli strumenti adottati: si tratti di un ferro o di una lastra di anticorodal, di una tela, di una vernice industriale o di un impasto di acrilico e colla, ogni elemento è portato alla sua tensione estrema, fino al punto in cui si trasforma in qualcosa d'altro, in pura forma geometrica, in pura estensione luminosa.

E' proprio in virtù del rigore con cui vengono affrontate e trattate le materie che infine esse vengono trascese, è l'estrema coscienza del fare a concedere all'occhio il piacere di una visione dimentica dei processi che hanno portato a quei risultati. Tecniche dimenticate a memoria".


Igino Legnaghi Rolando Tessadri
Ars Now Seragiotto, Padova, 2010
A cura di Walter Guadagnini


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Vedi dettagli della mostra sul sito www.arsnowseragiotto.it

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